Il diritto di ritenzione del bene di proprietà di un terzo

Il diritto di ritenzione

Nel nostro ordinamento, per alcune tipologie di contratti, è previsto in favore del creditore il diritto di trattenere presso di sé un bene che dovrebbe restituire al proprietario, fino a che quest’ultimo, che è suo debitore, non adempia alla prestazione. 

Tale diritto è previsto, ad esempio, in favore del depositario in un contratto di logistica o di deposito, in favore del trasportatore nel contratto di trasporto e in favore del meccanico o del carrozziere per i corrispettivi a lui dovuti per la riparazione di veicoli.

Si è posto il quesito se tale diritto di ritenzione possa essere esercitato qualora il bene in questione consegnato al creditore appartenga ad un soggetto terzo, diverso quindi dal soggetto depositante.

Il Codice civile all’art. 2756  stabilisce che la ritenzione ha effetto anche in pregiudizio dei terzi che hanno diritti sul bene, qualora chi ha fatto le prestazioni o le spese, quindi il creditore, sia stato in buona fede.

La “buona fede” del creditore

La giurisprudenza si è quindi interrogata su cosa costituisca la “buona fede” del creditore che ne legittima la ritenzione del bene, anche qualora questo bene sia di proprietà di terzi.

Secondo la Cassazione, nella fattispecie,  “…la buona fede del creditore si identifica con l’ignoranza non già del difetto di titolo dell’affidante a trasferire il dominio, ma del difetto di capacità di affidare la cosa per la conservazione o per il miglioramento (Cassazione civile Sez. III – sentenza n. 14533 del 22 giugno 2009; conf. Cassazione civile –  Sentenza n. 2286 del 27/08/1966; Tribunale di Livorno, 07/04/2016, sentenza n.461).

In sostanza, secondo questo orientamento della Suprema Corte, la buona fede non vuol dire non essere a conoscenza che chi affida il bene non è il proprietario, ma nel non sapere che chi affida non ha proprio titolo (la capacità giuridica) per disporre del bene (quindi non aveva “il potere” di affidare il bene al depositario).

Va precisato che le casistiche esaminate dalla riportata giurisprudenza  si riferivano alla “ragionevole presunzione… che il soggetto che consegni un bene per la riparazione, sia egli stesso proprietario o incaricato dell’incombenza da parte dell’avente diritto“.

Quindi la “capacità di disporre del bene” viene identificata con l’incarico ricevuto dal proprietario a consegnare ovvero a depositare l’oggetto in questione presso il creditore che effettua la ritenzione. 

In altre decisioni, la Corte di Cassazione ha sostenuto che il Giudice deve in ogni caso effettuare un accertamento in concreto per valutare se, tenendo conto di tutte le circostanze del caso, sussista o meno la buona fede in capo al depositante, vale a dire l’inconsapevolezza che chi disponeva della cosa non aveva titolo (capacità giuridica) per farlo. Afferma a tal proposito la Suprema Corte:  “…..E’ evidente che la Corte territoriale evoca la risalente pronuncia della Cassazione risalente al 26/08/66, n. 2286, ma la (rara) pronuncia evocata non costituisce a favore di colui che ha “fatto le prestazioni una presunzione iuris et de iure. Sicchè l’interprete deve, di volta in volta, verificare se, nel caso esaminato, si possa configurare la buona fede di cui è detto in sentenza o se, invece, usando la diligenza del bonus pater familias, il prestatore d’opera, messo sull’avviso o comunque nel dubbio sulla capacità dell’affidante, perda il beneficio della buona fede. (Cassazione civile Sez. III – sentenza n. 14533 del 22 giugno 2009)

Casi particolari

La giurisprudenza ha poi avuto modo di occuparsi di casi particolari nei quali il terzo contestava il diritto di ritenzione, ritenendo non sussistere la buona fede in capo al depositario.

In tali ipotesi, secondo la Cassazione, il terzo proprietario deve fornire una spiegazione su come il depositante abbia potuto disporre del bene; se non riesce a farlo, può operare una presunzione di buona fede a vantaggio del depositario:

Qualora il proprietario della cosa [ nella specie, autoveicolo ], affidata da un terzo ad un prestatore d’opera perché vi esegua delle riparazioni, ometta di spiegare come mai chi ha consegnato il bene al riparatore si sia trovato a poterne disporre, ben può il Giudice di merito ritenere sussistente [ in relazione ad una sua adeguata valutazione delle particolari circostanze di fatto ] una “praesumptio hominis” di sussistenza della buona fede del soggetto che ha fatto le prestazioni, ai fini del riconoscimento del privilegio per il pagamento del corrispettivo, ai sensi dell’art. 2756, comma secondo, c.c., apparendo ragionevole ritenere che il soggetto il quale abbia la disponibilità del bene e lo consegni per le riparazioni sia egli stesso il proprietario o un incaricato dell’incombenza da parte dell’avente diritto” (Cassazione civile Sez. III sentenza n. 14533 del 22 giugno 2009).

In conclusione

Si ritiene quindi che, in linea di principio, riguardo a tutte le circostanze del fatto, si può presumere la buona fede del ricevente, intesa come ragionevole presunzione che chi  consegna il bene ne sia il proprietario o sia stato dallo stesso incaricato; il Giudice, in particolare, nel verificare se sussista o meno la buona fede,  è sempre chiamato ad accertare in concreto, se il ricevente poteva ragionevolmente essere a conoscenza  che il bene era proprietà di altri e chi lo depositava non aveva legittimazione a disporre del bene, non essendo stato autorizzato dal proprietario.

Giulio Blenx Avvocato Picozzi Morigi

Giulio Blenx

Socio