Gli effetti della declaratoria di fallimento sul procedimento arbitrale

Il tema affrontato è solo uno dei possibili profili di interazione che possono determinarsi tra arbitrato e fallimento intervenuto litependente: come devono comportarsi gli arbitri (collegio arbitrale o arbitro unico) che, dopo aver accettato il mandato ed aver costituito l’organo giudicante, siano notiziati del sopravvenuto fallimento di una delle parti del procedimento?

C’è, innanzitutto, un aspetto “preliminare” che gli arbitri sono chiamati a valutare e che si pone in relazione all’art. 83 bisdel R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (“L.F.”). Tale norma dispone che, in caso di fallimento di una delle parti, il procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito qualora la relativa clausola compromissoria sia contenuta in un contratto che è sciolto per legge oppure per volontà del curatore ai sensi delle disposizioni che disciplinano la sorte dei rapporti giuridici pendenti alla data della dichiarazione di fallimento. Le disposizioni a cui rinvia l’art. 83 bisL.F. sono quelle contenute negli artt. 72 ss. L.F., il cui esame esorbita dall’oggetto della trattazione. Basti, in questa sede, considerare che esse sanciscono la sospensione dell’esecuzione dei rapporti pendenti alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, assegnando al curatore la facoltà, previa autorizzazione del comitato dei creditori, di subentrarvi in luogo del fallito, o di sciogliersi dai medesimi, con i modi e nei termini regolati dall’art. 72 L.F.; per altre categorie di rapporti pendenti, invece, ne prevedono lo scioglimento quale effetto automatico della dichiarazione di insolvenza (cfr. conto corrente, commissione e mandato exart. 78 L.F.).

Ciò che rileva è che, ove la clausola compromissoria sia inserita in un contratto pendente (ineseguito o in corso di esecuzione), rispetto al quale il curatore abbia esercitato la facoltà di scioglimento exartt. 72 ss. L.F. o che si sia sciolto ope legisin conseguenza della dichiarazione di fallimento, la caducazione del contratto determinerebbe la caducazione della convenzione di arbitrato in esso inserita. Con la conseguenza che il procedimento arbitrale dovrebbe essere dichiarato improcedibile dall’organo arbitrale con una pronuncia in rito, senza che neppure debba sollevarsi il problema della individuazione dei provvedimenti da adottare per la corretta prosecuzione del giudizio, prosecuzione esclusa exart. 83 bis L.F.

Il problema di assicurare la corretta prosecuzione del procedimento si pone per gli arbitri in due ipotesi: (i)quando il contratto in cui è inserita la clausola compromissoria, pur pendente alla data della dichiarazione di fallimento, non sia sciolto in dipendenza della decisione del curatore di subentrare nel rapporto in luogo del fallito; (ii) quando il contratto, al quale accede la convenzione di arbitrato, sia già stato interamente eseguito o sia stato risolto. In questi casi, infatti, la declaratoria di fallimento non ha prodotto alcun effetto caducatorio del contratto in cui è inserito il patto arbitrale: la sopravvivenza del primo assicura la sopravvivenza del secondo e, quindi, la astratta proseguibilità del procedimento arbitrale pendente. L’unico aspetto di cui gli arbitri devono tenere conto è connesso alla perdita della capacità di stare in giudizio della parte dichiarata fallita, trasferita in capo al curatore exart. 43, comma 1, L.F., a cui consegue l’esigenza di misure volte ad assicurare la partecipazione di quest’ultimo al giudizio.

In primo luogo, va evidenziato che, secondo l’opinione prevalente, l’istituto dell’interruzione sarebbe incompatibile con l’arbitrato, rispetto al quale non potrebbe trovare applicazione l’art. 43, comma 3, L.F. (“L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”). Tale conclusione viene tratta sulla scorta dell’art. 816 sexiesc.p.c., diffusamente ritenuta la norma specificamente deputata a regolare le vicende anormali del procedimento arbitrale. Essa dispone che, se una delle parti in arbitrato viene meno per morte, estinzione o perdita di capacità, gli arbitri “[…] assumono le misure idonee a garantire l’applicazione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio. Essi possono sospendere il procedimento[…]”. Per quel che qui interessa, non sembra possano nutrirsi dubbi circa il fatto che la declaratoria di fallimento determini la perdita della capacità della parte e, segnatamente, della sua capacità di stare in giudizio, traslata in favore del curatore exart. 43, comma 1, L.F.: il fallimento, quindi, parerebbe rientrare tra gli eventi che possono condurre all’adozione delle misure di cui all’art. 816 sexiesc.p.c.

Ciò premesso, è di immediata percezione come l’art. 816 sexiesc.p.c. non rechi alcuna menzione dell’interruzione del giudizio quale conseguenza della morte, dell’estinzione o della perdita di capacità della parte, rimettendo agli arbitri la scelta in ordine alle misure idoneea garantirne la prosecuzione nel rispetto del principio del contraddittorio. Con riguardo alla individuazione delle misure idoneela norma appare lasciare agli arbitri la più ampia discrezionalità di decisione. Tuttavia, sotto un profilo pratico-operativo, non può essere sottovalutata la portata paradigmatica del riferimento esplicito, contenuto nell’art. 816 sexiesc.p.c., al potere degli arbitri di sospendereil procedimento. Infatti, letta in questi termini, la norma pare indicare agli arbitri la misura, tra le altre, senz’altro idonea ad assicurare la prosecuzione del giudizio nel rispetto del principio del contraddittorio. Non a caso, nella prassi (cfr. Collegio Arbitrale Napoli, 26 maggio 2008, con nota di Bugliani, in Rivista dell’Arbitrato, 411 ss., 2008), la sospensione del procedimento è la misura generalmente assunta dagli organi arbitrali al verificarsi di una delle vicende previste dall’art. 816 sexiesc.p.c. (morte, estinzione o perdita di capacità della parte). In tale prospettiva, notiziati della intervenuta declaratoria di fallimento di una delle parti costituite, gli arbitri possono adottare un’ordinanza di sospensione del procedimento, fissando un’udienza ai fini della prosecuzione con contestuale assegnazione alla parte superstite (o alle parti superstiti) di un termine per la notifica al curatore di un atto di riassunzione avente il contenuto di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c.. Qualora la parte onerata provveda alla tempestiva riassunzione, il procedimento arbitrale proseguirà fino alla emanazione di un lodo definitivo nel merito opponibile al ceto creditorio, indipendentemente dalla effettiva partecipazione al giudizio da parte del curatore. Qualora, invece, la parte onerata non ottemperi al provvedimento assunto dagli arbitri ai fini della prosecuzione del procedimento, questi ultimi potranno rinunciare all’incarico ai sensi dell’art. 816 sexies, comma 2, c.p.c. con una pronuncia in rito di improseguibilità del giudizio.

Concludendo, anche a fronte della discrezionalità lasciata agli arbitri dall’art. 816 sexiesc.p.c., la sospensione del giudizio arbitrale appare senza dubbio la misura più idonea ad assicurare la corretta prosecuzione del procedimento nel rispetto del principio del contraddittorio. Peraltro, l’importanza per l’organo arbitrale di non assumere provvedimenti inidonei allo scopo si ricava anche – e soprattutto – dagli artt. 813 ter e 829 c.p.c., sotto il duplice profilo della responsabilità e del compenso per l’opera prestata. La prima norma, infatti, nel disciplinare la materia della responsabilità degli arbitri, dispone: (i) al comma 4, che, se è stato pronunciato il lodo, l’azione di responsabilità può essere proposta soltanto dopo l’accoglimento dell’impugnazione (del lodo) con sentenza passata in giudicato e per i motivi per i quali l’impugnazione è stata accolta; (ii) al comma 6, che, nei casi di responsabilità dell’arbitro, il corrispettivo e il rimborso delle spese non gli sono dovuti o, nel caso di nullità parziale del lodo, sono soggetti a riduzione. L’art. 829 comma 1, n. 9, c.p.c. invece, individua, tra i motivi di impugnazione del lodo per nullità, proprio quello della mancata osservanza nel corso del procedimento del principio del contraddittorio.

Vi è, infine, un’ulteriore considerazione che dovrebbe far propendere per la sospensione del procedimento arbitrale al verificarsi di una delle vicende prese in esame dall’art. 816 sexiesc.p.c. e che è strettamente correlata alla decorrenza del termine per la pronuncia del lodo definitivo: infatti, l’art. 820, ultimo comma, c.p.c. prevede che il termine per la pronuncia del lodo è sospeso durante la sospensione del procedimento arbitrale e che, dopo la ripresa, se inferiore, lo stesso è in ogni caso esteso a novanta giorni.

Alessio Carosi

Alessio Carosi