La riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza

La rinuncia (implicita) alla giurisdizione cautelare del giudice nazionale in presenza di clausola compromissoria per arbitrato estero. La volontà delle parti ha un “peso” (decisivo).

Breve introduzione.

L’intervento prende spunto da un recente pronunciamento del Tribunale di Frosinone (cfr. ordinanza 19.09.2017; All.1), giunto all’esito di una vicenda processuale che ha visto lo Studio (vittorioso) protagonista. Questo approfondimento è stato dettato dalla portata innovativa di un provvedimento, la cui radicalità non trova riscontro in precedenti a noi noti. 

Come si può agevolmente evincere, si è al cospetto di una materia estremamente delicata e complessa per le estreme conseguenze che può avere nell’accesso agli strumenti di tutela approntati dall’ordinamento giuridico interno e per la ben nota riottosità del potere statuale ad abdicare ai propri ambiti di intervento.
 
L’ultimo aspetto evidenziato è di assoluto rilievo in quanto ha, da sempre, posto la disciplina italiana sull’arbitrato in una posizione retrograda nel contesto dell’esperienza internazionale per la diffidenza che ha da sempre permeato nel nostro paese, sul piano legislativo e giurisprudenziale, i difficili rapporti tra giurisdizione civile e giurisdizione arbitrale.
 
Norma simbolo di tale arretratezza culturale è l’art. 818 c.p.c., recante ancora oggi il generale divieto per gli arbitri di concedere sequestri ed altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge.
 
Da ultimo, ma non per ultimo, la materia oggetto di esame ha un fortissimo impatto sotto il profilo pratico per gli operatori del diritto e, in particolare, per i professionisti incaricati dal cliente di assisterlo nella redazione della convenzione di arbitrato (clausola compromissoria o compromesso). Come noto, l’arbitrato trova la propria fonte nella volontà delle parti, estrinsecata – per l’appunto – per mezzo della convenzione di arbitrato: una proposizione in più o in meno, un inciso in più o in meno, può avere riflessi futuri dirompenti per le parti.
 
Tra questi, per restare all’oggetto di questo intervento, la possibilità di adire il giudice nazionale per la tutela cautelare. 
 
Il caso di specie.
 
La vicenda su cui è stato chiamato ad intervenire il Tribunale di Frosinone origina da un contratto internazionale di fornitura di beni e servizi siglato tra due persone giuridiche (una delle quali di diritto italiano) relativo ad una serie di macchinari facenti parte di un impianto sito nella provincia di Frosinone, al know-how necessario al loro avviamento, allo smontaggio, al trasferimento e al riassemblaggio all’estero dei macchinari stessi. All’interno del contratto le parti avevano inserito – tra l’altro – una specifica clausola in forza della quale individuavano la legge applicabile al rapporto negoziale (lex contractus) e devolvevano ogni controversia sorta da o in relazione allo stesso rapporto negoziale alla cognizione di un collegio arbitrale con sede all’estero. Sul contenuto di tale clausola si tornerà più avanti. Sorte svariate problematiche nell’esecuzione degli accordi presi in forza del richiamato contratto, la parte che avrebbe dovuto beneficiare della fornitura, in dipendenza del preteso inadempimento dell’altra, adiva il Tribunale di Frosinone, in via prodromica e strumentale al futuro procedimento arbitrale (quindi, ante causam), instando per il sequestro giudiziario dei beni oggetto dell’accordo (macchinari, know-how e relativa documentazione) ex art. 670 c.p.c. ovvero, in via concorrente e/o alternativa o in subordine, per l’adozione di provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c..
 
A fondamento delle avanzate domande di cautela, la ricorrente adduceva una serie di argomentazioni volte a fondare l’assunta iniziativa sotto il profilo del fumus boni iuris e del periculum in mora. Si costituiva in giudizio la parte intimata, la quale, in via pregiudiziale, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice italiano in dipendenza della clausola compromissoria inserita nel soprarichiamato contratto e, nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso per l’insussistenza dei presupposti indefettibili della tutela cautelare (fumus boni iuris e periculum in mora), variamente intesi in relazione alle misure richieste.
 
La clausola compromissoria.
 
Preliminarmente, è necessario riportare il tenore testuale della clausola contrattuale rubricata “Legge di riferimento, arbitrato”, recante, per l’appunto, l’individuazione della lex contractus e la clausola compromissoria: “La legge di riferimento per questo Accordo è la Legge Svizzera.
 
Qualsiasi controversia derivante da o connessa alle obbligazioni derivanti da questo Accordo e che non potrà essere inizialmente risolta amichevolmente tra le parti dovrà essere definitivamente risolta secondo il Regolamento Arbitrale della Camera di Commercio Internazionale (il “Regolamento”) da tre arbitri. Ogni parte deve nominare un arbitro e i due arbitri così nominati dovranno nominare il terzo arbitro. L’arbitrato avrà sede in Svizzera (Zurigo). La lingua dell’arbitrato sarà l’inglese. L’arbitrato e tutte le controversie ivi decise saranno regolate dalla Legge Svizzera senza tenere conto delle norme in materia di scelta di legge o di conflitto di legge”. Dalla lettura della pattuizione emerge ictu oculi come le parti avessero inteso: (i) ricondurre la disciplina dell’intero rapporto contrattuale alla Legge Svizzera, nell’accezione più ampia possibile, stante l’assenza di qualsiasi clausola limitativa; (ii) devolvere ogni controversia derivante dal contratto sottoscritto o, comunque, ad esso connessa alla cognizione di un arbitrato amministrato dalla Camera di Commercio Internazionale secondo il proprio Regolamento di Arbitrato, avente sede in Svizzera (Zurigo) e governato interamente dalla Legge Svizzera (anche in questo caso richiamata senza alcuna clausola limitativa), con esclusione delle norme di rinvio dettate dalla legge federale svizzera di diritto internazionale privato.
 
Si è ritenuto di ritrascrivere il testo della clausola compromissoria in quanto fondamentale (ed unico) strumento di estrinsecazione della volontà delle parti di devolvere in arbitrato – a seconda dei casi – tutte o alcune le controversie originanti da un determinato rapporto, sottraendole alla cognizione del giudice ordinario. In altri termini, la volontà delle parti è solo e soltanto quella risultante dalla clausola compromissoria: è quest’ultima che segna i confini ed il grado di assolutezza della rinuncia delle parti alla tutela (anche cautelare) giurisdizionale statuale e che rappresenta la fonte del potere degli arbitri, definendone cornice e contenuto. Un altro aspetto che si ritiene fondamentale evidenziare è il seguente: la clausola compromissoria sopracitata è stata enunciata in un testo che, lungi dal presentare profili patologici o disfunzionali, è molto vicino a quello che, secondo la comune valutazione degli operatori del diritto, potrebbe essere astrattamente ritenuto come un modello corretto di convenzione di arbitrato.
 
Sennonché è proprio questo profilo che deve indurre tutti noi ad una assai approfondita ed attenta riflessione.
 
L’eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione del giudice nazionale.
 
La tesi del difetto di giurisdizione del giudice nazionale è stata sostenuta sulla scorta di una serie di argomentazioni, tutte volte ad assegnare peso decisivo alla volontà delle parti, chiaramente estrinsecata per il mezzo di una clausola compromissoria dal tenore tassativo e lapidario. Come più sopra evidenziato, l’arbitrato (e, quindi, il potere degli arbitri) trova il proprio esclusivo fondamento nella volontà e nell’autonomia delle parti. Questo concetto è stato ben evidenziato dalla Corte Costituzionale, la quale, in un noto (anche se datato) precedente, ha evidenziato che “[…] il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perché solo la libera scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, primo comma, della Costituzione) può derogare al precetto contenuto nell’art. 102, primo comma della Costituzione […]
 
Sicché la «fonte» dell’arbitrato non può ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa: ed il principio fissato dall’art. 806 del codice di procedura civile, primo comma, prima parte («Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte …»), assume il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordinamento […]” (Corte Cost. sentenza 14 luglio 1977, n. 127). L’art. 4, comma 2, della legge 31 marzo 1995, n. 218 (“Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”) dispone, altresì, che “La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili”. Infine, non si può non richiamare l’art. 3, comma 3, della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, laddove è stabilito che “Il tribunale di uno stato contraente, cui sia sottoposta una questione per la quale le parti hanno conchiuso una convenzione secondo il presente articolo, rinvierà le medesime, a domanda d’una di esse, a un arbitrato, sempreché non riscontri che la detta convenzione sia caduca, inoperante o non sia suscettiva di essere applicata”.
 
Appare sin troppo chiaro, quindi, che la clausola compromissoria per arbitrato estero comporti una deroga alla giurisdizione del giudice statuale relativamente al merito della controversia. Meno chiari, invece, sono gli effetti che una tale autonoma scelta possa avere rispetto alla giurisdizione cautelare statuale. Diversi sono i paradigmi normativi generalmente invocati a sostegno della tesi della persistenza della giurisdizione cautelare statuale anche in presenza di clausola compromissoria per arbitrato estero.
 
Trattasi, specificamente, degli artt. 669 quinques c.p.c. e 669 ter, comma 3, c.p.c., dell’art. 10 della legge 31 marzo 1995, n. 218 nonché dell’art. 6, ultimo comma, della Convenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale adottata a Ginevra il 21 aprile 1961 e recepita in Italia con legge 10 maggio 1970, n. 418. A ben vedere, però, nessuna delle richiamate disposizioni appare realmente idonea a superare le forti perplessità nutrite da chi ritiene che, salva diversa volontà manifestata dalle parti, la sola presenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero sia determinativa di una rinuncia tout court alla giurisdizione statuale (di merito e cautelare). Non convince, innanzitutto, il richiamato all’art. 669 quinques c.p.c..
 
Tale norma prevede che, se la controversia è oggetto di clausola compromissoria o è compromessa in arbitri, o se è pendente giudizio arbitrale, la domanda cautelare debba essere proposta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. La disposizione citata, però, non solo non opera alcuna distinzione tra arbitrati nazionali, internazionali ed esteri, ma sembra anche dare per presupposto che vi sia sempre un giudice nazionale che, in difetto della clausola compromissoria, avrebbe avuto la giurisdizione sul merito. In altri termini, essa pare destinata a disciplinare quelle ipotesi di astratta sussistenza della giurisdizione nazionale sul merito, la quale, però, sarebbe sempre esclusa in presenza di convenzione per arbitrato estero, così come in quei casi in cui la giurisdizione sul merito sia devoluta ad un giudice straniero.
 
Ne consegue che l’art. 669 quinques c.p.c. non riguarderebbe il caso di controversia compromessa in arbitrato estero, nella cui ipotesi la potestas iudicandi in materia cautelare del giudice statuale potrebbe essere valutata solamente alla stregua dell’art. 669 ter, comma 3, c.p.c., con riferimento al giudice del luogo di esecuzione del provvedimento cautelare (criterio esecutivo-territoriale). Tuttavia, neppure l’art. 669 ter, comma 3, c.p.c., sarebbe idoneo a radicare tout court la giurisdizione cautelare del giudice nazionale per il solo fatto che esso dispone che, in caso di difetto di giurisdizione sul merito del giudice italiano, la domanda cautelare va proposta dinanzi al giudice, che sarebbe competente per materia o per valore, del luogo in cui deve essere eseguita la misura cautelare. Analoga valutazione di inidoneità andrebbe fatta, ad avviso di chi scrive, per l’art. 10 della legge 31 marzo 1995, n. 218, il quale stabilisce che, in materia cautelare, la giurisdizione del giudice italiano sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione sul merito (quest’ultima, ovviamente, sempre da escludersi in presenza di convenzione per arbitrato estero).
 
Deve essere rimarcata, innanzitutto, la formulazione ambigua dell’art. 669 ter, comma 3, c.p.c.: “Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito …”. In relazione alla stessa, è stato sostenuto che la competenza cautelare del giudice statuale del luogo di esecuzione della misura cautelare può essere affermata ai sensi dell’art. 669 ter, comma 3, c.p.c. solo in caso di mancanza ex lege della giurisdizione nazionale sul merito, mentre non sussisterebbe in caso di deroga pattizia e volontaria alla giurisdizione stessa. Insomma, occorrerebbe operare una distinzione tra arbitrati esteri che derogano alla giurisdizione italiana per volontà delle parti ed arbitrati esteri che non presuppongono una siffatta deroga in quanto chiamati ad intervenire in relazione a controversie comunque non appartenenti alla cognizione dei giudici interni.
 
Solo per queste ultime, infatti, potrebbe affermarsi la giurisdizione cautelare del giudice nazionale ai sensi dell’art. 669 ter, comma 3, c.p.c.; in tutti gli altri casi di deroga pattizia alla giurisdizione nazionale sul merito le parti dovrebbero imputare a loro stesse la scelta (e i connessi effetti) di essersi private della giurisdizione del giudice statuale, con riguardo tanto al merito quanto alla tutela cautelare. Nella delineata prospettiva, nessuna delle sopracitate disposizioni sarebbe idonea a radicare la potestas iudicandi del giudice nazionale del luogo di esecuzione della misura cautelare nell’ipotesi in cui le parti abbiano scelto autonomamente di devolvere le controversie scaturenti da un determinato rapporto alla cognizione di un arbitrato estero e, quindi, abbiano in tal modo di fatto rinunciato (recte, derogato) alla giurisdizione sul merito del giudice interno.
 
Proseguendo nel ragionamento, ne discende che la deroga alla giurisdizione italiana, per effetto di un patto compromissorio per arbitrato estero, non sarebbe soltanto deroga alla giurisdizione contenziosa ma anche a quella cautelare, salva diversa volontà espressa dalle parti. Opinare diversamente vorrebbe dire assegnare all’art. 669 ter, comma 3, c.p.c., così come all’art. 10 della legge 31 marzo 1995, n. 218 ed all’art. 6, ultimo comma, della soprarichiamata Convenzione di Ginevra del 21 aprile 1961, la natura di norme di ordine pubblico ed una connessa portata autoritativa, di cui non si rinviene fondamento.
 
Senza considerare come una siffatta soluzione si porrebbe in netto contrasto con quanto predicato dalla Corte Costituzionale con l’arresto del 1977, di cui si è dato più sopra conto, secondo la quale “[…] la «fonte» dell’arbitrato non può ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa […]”. Tali considerazioni valgono ancora di più ove il giudice nazionale venga adito, pur in presenza di una convenzione per arbitrato estero, per l’emissione dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., e ciò in dipendenza della particolare natura delle misure cautelari a strumentalità attenuata, la cui efficacia è totalmente svincolata dall’onere di introduzione del successivo giudizio di merito (cfr. art. 669 octies, comma 6, c.p.c.). In tali casi, infatti, la giurisdizione cautelare del giudice statuale non potrebbe essere affermata – pur sussistendone, in ipotesi, i presupposti – neppure in forza dell’art. 669 ter, comma 3, c.p.c., in quanto la stessa potrebbe facilmente tradursi nella definitiva sottrazione del giudizio di merito alla cognizione del giudice straniero o dell’arbitrato estero.
 
Infatti, nulla impedirebbe al ricorrente, che abbia ottenuto l’invocata tutela d’urgenza, di esimersi dall’incardinare il giudizio principale, ottenendo un doppio ipotetico vantaggio: (i) l’ultrattività del provvedimento cautelare, di per sé idoneo ad anticipare gli effetti della sentenza di merito; (ii) sottrarsi all’alea del giudizio di merito, della cui introduzione finirebbe per essere onerata la parte resistente, pena il definitivo esautoramento della potestas iudicandi del giudice straniero o dell’arbitrato estero, con tutte le conseguenze facilmente immaginabili sotto il profilo della distribuzione dell’onus probandi. A conclusione di questo iter argomentativo, è il caso di tornare al tenore della clausola compromissoria, non a caso più sopra interamente ritrascritta. Le parti avevano deciso di devolvere ogni controversia derivante o connessa al contratto di fornitura di beni e servizi tra loro sottoscritto alla cognizione di un arbitrato estero amministrato dalla ICC secondo il proprio Regolamento di Arbitrato, con sede fissata in Svizzera ed interamente governato dalla legge svizzera.
 
In tal modo esse avevano optato per la totale sottrazione della materia alla cognizione del giudice italiano, la cui giurisdizione, in assenza della convenzione di arbitrato, sarebbe invece sussistita. Tale autonoma scelta era stata manifestata dalle parti in una convenzione di arbitrato dal tenore tassativo e non altrimenti interpretabile, senza alcuna mitigazione o eccezione di sorta. In altre parole, le parti non si erano riservate la facoltà di adire i giudici nazionali in sede cautelare, rimettendo ogni controversia originante dal contratto sottoscritto alla esclusiva cognizione di un arbitrato estero amministrato dalla ICC (“Qualsiasi controversia derivante da o connessa alle obbligazioni derivanti da questo Accordo […] dovrà essere definitivamente risolta […]”). Solo ove esse avessero manifestato una tale riserva, sarebbe stato loro consentito di adire il giudice italiano in sede cautelare secondo il criterio di competenza sancito dall’art. 669 ter, comma 3, c.p.c., secondo quanto più sopra osservato.
 
La decisione del Tribunale di Frosinone.
 
Il Tribunale di Frosinone ha dichiarato il proprio di difetto di giurisdizione mostrando la più totale adesione agli argomenti che erano stati portati a sostegno della sollevata eccezione pregiudiziale.
 
Va sottolineato come il giudicante abbia ritenuto di dover in primo luogo delibare in ordine alla validità della convenzione di arbitrato inserita nel contratto sottoscritto tra le parti, concludendo che “[…] la clausola in questione è senza dubbio valida, in quanto risulta stipulata in Italia, è contenuta in atto scritto ed attiene a diritti disponibili […]”. Dopo di che ha evidenziato come, nel caso di specie, non si trattasse di un giudizio rimesso ad un collegio arbitrale avente sede all’estero, ma chiamato a giudicare secondo la legge italiana, “[…] ipotesi in cui pacificamente, sussistendo il divieto di cui all’art. 818 c.p.c., i provvedimenti cautelari possono essere chiesti solo all’Autorità Giudiziaria italiana […]”.
 
Lo stesso ha, inoltre, rimarcato come le parti avessero operato, in virtù della convenzione di arbitrato, un rinvio generico e totalizzante alla Legge Svizzera, da applicarsi, quindi, non solo con riferimento al diritto sostanziale, ma anche con riguardo al diritto processuale. Proseguendo nel proprio percorso argomentativo, il Tribunale di Frosinone ha ritenuto pattiziamente derogata dalle parti anche la giurisdizione cautelare del giudice nazionale atteso che «[…] tanto l’art. 10 che l’art. 669 ter, comma 3, citati non possono operare allorché le parti abbiano scelto di devolvere ogni controversia scaturente da un determinato rapporto alla cognizione di un arbitrato estero, così rinunciando “a monte” e totalmente alla giurisdizione del giudice italiano: tali norme, infatti, operano solo quando manchi ex lege la giurisdizione sul merito e non quando detta completa rinuncia vi sia stata e ciò in quanto, come si è più volte detto, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la rinuncia alla giurisdizione importa anche la rinuncia alla giurisdizione cautelare […]».
 
Il predetto Tribunale ha, quindi, sostenuto che “[…] bisogna distinguere fra arbitrati esteri che derogano in toto alla giurisdizione italiana ed arbitrati esteri che tale deroga totale non prevedono perché hanno ad oggetto controversie comunque non appartenenti al giudice italiano e solo per queste ultime si deve ritenere che sussista la giurisdizione cautelare del giudice italiano; diversamente opinando, infatti, si finirebbe per attribuire all’art. 10 citato la qualifica di norma autoritativa di ordine pubblico […]”. Circa, poi, i provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il Tribunale di Frosinone ha evidenziato come l’ipotetico riconoscimento della giurisdizione del giudice nazionale in presenza di clausola compromissoria per arbitrato estero in forza del criterio sancito dall’art. 669 ter, comma 3, c.p.c., potrebbe in ogni caso tradursi nella “[…] definitiva sottrazione del giudizio principale alla giurisdizione del giudice straniero o dell’arbitro estero […]”. Lo stesso giudicante ha, altresì, argomentato che in una siffatta eventuale ipotesi “[…] la parte vittoriosa in sede cautelare costringerebbe quella soccombente, al fine di non assistere al definitivo esautoramento della potestas iudicandi del giudice straniero o dell’arbitro estero, ad incardinare essa stessa il giudizio di merito dinanzi al giudice straniero o all’arbitro estero, così vedendo invertito in proprio danno l’onere di provare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata […]”. Infine, il Tribunale di Frosinone ha evidenziato come nel caso di specie, tanto in forza del Regolamento di Arbitrato della ICC (artt. 28 e 29) quanto in forza della legge svizzera (art. 183, comma 1, della legge federale sul diritto internazionale privato ed art. 374, comma 1, del codice di procedura civile svizzero), genericamente richiamata dalle parti, sussista in concreto il potere degli arbitri di emettere provvedimenti cautelari, senza che possa in alcun modo giovare all’affermazione della giurisdizione cautelare del giudice italiano i problemi che “[…] potrebbero sorgere in sede di attuazione del futuro provvedimento cautelare […]” in quanto – ha proseguito il giudicante – “[…] come correttamente osservato in dottrina … qualora le parti abbiano consapevolmente scelto di derogare interamente alla giurisdizione italiana, sibi imputent il fatto di essersi private della giurisdizione medesima […]”. Sulla scorta di queste motivazioni, il giudicante ha concluso per il proprio difetto di giurisdizione in relazione alla controversia insorta “[…] per radicarsi la stessa in capo al Collegio Arbitrale di cui … al contratto concluso fra le parti, innanzi al quale rimette le parti […]”.
 
Conclusioni.
 
Concludendo sinteticamente, si evidenzia, sotto il profilo pratico, la necessità per le parti e per gli operatori del diritto che alle stesse prestano assistenza di dedicare particolare attenzione al contenuto della convenzione di arbitrato ed alla redazione della medesima per le rilevantissime conseguenze che possono discendere dalla scelta delle parti di devolvere determinate controversie in arbitrato estero.  
Maria Luisa Bianco

Maria Grazia Bianco